In inglese si dice “One size, fits all” che tradotto letteralmente significa “Una taglia che entra a tutti”. Il concetto è che un capo viene prodotto in un’unica taglia e quella taglia andrà bene a tutti. In realtà in Italia si limitano a chiamarla, con meno presunzione, “taglia unica” e che potremmo tradurre con “C’è solo questa taglia qui, se non ti va bene ti attacchi al tram!”.
Si tratta di un concetto che ovviamente è limitante, non inclusivo e che va a solo vantaggio di chi produce non di chi compra. Un concetto molto adatto alla moda low cost, al fatto che è il nostro corpo che deve adattarsi ai vestiti e non il contrario perché i vestiti sono quelli e quindi se non ci stai è un problema tuo. Certo, con i nuovi tessuti più morbidi ed elasticizzati che ci sono in giro c’è più adattabilità ma, insomma, fino a un certo punto.
Era un po’ che volevo trattare questo argomento, approfondirlo ma mi è venuta l’ispirazione quando ho visto il video di Sierra Schultzzie che testa dei prodotti “taglia unica”. Ovviamente il test non funziona molto bene, e consideriamo che lei ha avuto la possibilità di acquistare 2 taglie uniche (si interroghiamoci sul seno della cosa), la regular taglia unica e la plus size. Vi riporto il video in questione, dove la parte di test è all’inizio.
Quello che mi perplime della cosa è che le taglie che le donne indossano sono molto variabili e possono andare dalla 36 (ma anche meno) e crescere diciamo senza limite. Nei negozi di taglie standard siamo abituate a trovare dalla 38 alla 46, a volte solo dalla 40 alla 44 e questo ci crea problemi se abbiamo altre taglie ma il concetto è che “non hanno la nostra taglia” e non che “ne vendono una sola spacciandola per adatta a tutti”. Anche perché, diciamocelo, come può essere possibile che la stessa taglia vesta una donna che indossa una 38 e una che veste una 46, magari anche con forme del corpo diverse? E poi il “fits all” è davvero presuntuoso, perché come puoi pensare di vestire tutti? Dalla 36 alla 66?
Piuttosto in realtà il concetto è:
“Sì, vabbè, ma io intendevo un corpo normale, quelle che hanno dalla 40 alla 42 o massimo 44!”
“E allora perché hai scritto tutte se poi tutte non sono?!”
“E vabbè ma è il fisico che le donne dovrebbero ambire ad avere!”
“Ambire? Ossatura e genetica, queste sconosciute, eh? E comunque cosa mi dici dell’altezza? Una 44 alta 1,78 starà davvero nello stesso pantalone di una 40 alta 1,56?”
“Vabbè, ma cosa vuol dire. si fa sempre riferimento a un’altezza normale, standard su cui si fanno i carta modelli!”
“Ok, ho capito guarda, allora ti basta cambiargli il nome: “Vendiamo solo questa taglia calibrata su una donna taglia 42 e alta 1,68. Se non corrispondete a questa descrizione non vi entrerà nulla e quindi meglio cambiare negozio”. Un po’ più realistico, che ne dici?”
“…” suono di sogno infranto, di idea di marketing del tipo “poca fatica e tanto profitto” che si infrange contro la realtà.
So che anche da sole riuscite a capire che il concetto di taglia unica è stupido e irreale ma so anche che, nonostante questo, quando vi ritrovate davanti a un capo taglia unica la frustrazione affiora, dentro di voi fa capolino quella voce che dice “Se fossi più magra/alta/avessi più seno/meno fianchi allora…”. Ed è per questo che mi arrabbio con chi ci propone la taglia unica, perché per facilitarsi il lavoro ci fa sentire sbagliate con noi stesse.
Vi è mai capitato di desiderare o acquistare un capo taglia unica?