Vi avviso, sto per scrivere un post un po’ strano, ma vorrei approfondire con voi questo tema. Il mio rapporto coi vestiti non è stato molto facile, non finché non ho capito bene chi ero e perché. È la storia di tante di noi, da bambine ci vestiva la mamma e noi facevamo poco attenzione a quello che indossavamo, poi piano piano abbiamo iniziato a guardare come erano vestite le amiche e confrontarlo coi vestiti che indossavamo noi. Se questi erano molto diversi significava (e chissà perché) che c’era qualcosa che non andava. Così l’unico desiderio era omologarsi e il mio è nato una mattina dei miei 12 anni in cui indossavo fuseaux con la staffa di velluto a coste rossi, oxford di cuoio, camicetta coi fiorellini gialli e rossi e il colletto merlato e un giubbotto lungo verde acido trapuntato con colletto anche lui a coste in velluto. Così diversa dalle altre non capivo perché non avessi successo coi ragazzi (come se le altre lo avessero, la più avanti aveva dato un bacetto a stampo) e così ho chiaro alla mia amica di allora di insegnarmi a vestirmi. Da lì è stato un susseguirsi di jeans scomodissimi, periodi vestita tutta di marrone o tutta di grigio (non il massimo dato che sono un Autunno soft) fino a che a un certo punto, forse grazie al mio ragazzo di allora a 17 anni ho smesso di nascondermi anche se ancora non sapevo cosa mi donava e perchè.
Praticamente il passaggio è stato da originalità controtendenza senza pensieri a omologazione così alta da voler sparire inghiottita da una carta da parati grigia, a omologazione per confondermi con la folla e non con l’arredamento. Ci è voluto molto tempo per riuscire a indossare qualcosa che attirasse l’attenzione, ancora di più per indossare un capo che mostrasse qualcosa di cui non ero ancora sicura, come il mio lato B. Ci vuole tempo, ma ci vuole anche uno sforzo, solo che questo sforzo è più facile farlo se i vestiti ti piacciono, se non ti piacciono, beh ti chiedi come mai non possiamo tutti girare con un identica tuta tutti i giorni come in Brave new word di Huxley.
E in questo viaggio, dopo che finalmente penso di essere arrivata, mi scopro in realtà ancora omologata alla moda, a quello che è giusto perché si fa così e quello che invece non va bene perché non ha senso. E soprattutto osservo con coraggio le persone che vanno controtendenza prima che andare controtendenza diventasse di moda. È molto diverso a seconda della città in cui siete, a Genova risulterà controtendenza un pantalone giallo, in città più piccole un look un po’ stravagante come indossare il cappotto con la felpa e a Milano magari nulla sarà controtendenza se non non vestirsi contro tendenza.
Si perché poi arriva il paradosso del paradosso, quando vestirsi “strani” va di moda, abbinando i capi senza una logica o un criterio anche indossare gli accessori della stessa gradazione di beige può sembrare eccessivo.
Dove voglio andare a parare? Non lo so, forse sul fatto che ogni tanto penso troppo, tutti noi pensiamo troppo, a come siamo vestite a come sono vestiti gli altri all’abbinamento perfetto o la camicia alla moda, in fondo (qui lo dico e qui lo nego) sono solo vestiti. Pensateci, effettivamente sono solo strati che ci mettiamo addosso per non girare nude e quindi partire il freddo o far entrare il nostro corpo in contatto con cose che vorremo lasciare lontane (tipo i sedili dell’autobus). Lo so, sono io che vi dico che i vestiti sono importati, sono un arma che possiamo usare per sentirci meglio, ma non sarebbe bello se quell’arma non ci servisse, se non ci servisse perché non c’è nessun pronto a giudicarci e non siamo noi stesse a giudicarci attraverso standard che non sono reali?
Ecco il mio pensiero filosofico si conclude qui, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi, e quali sono le cose che vi passano per la testa quando vi vestite.