Chi: Lily
Segni particolari: sono timida, parlo poco
Nemici: le persone nuove
Amici: chiunque rispetti le miei abitudini
Forma: clessidra, circa
Odio: la violenza, i rumori forti
Amo: gli animali
Amerei: essere capace di cambiare il mondo
studio meez |
Mia madre mi mise a dieta per la prima volta all’età di 3 anni. Non funzionò, se avesse funzionato la mia storia sarebbe stata ben diversa. Ho sofferto di obesità dai 3 ai 18 anni. Pranzavo sempre con mia nonna, la quale viveva con noi, e nessuno osava dire nulla riguardo le sue abitudini alimentari, per evitare che si scatenasse il putiferio di malcontento e strilli insensati che accadeva immancabilmente dopo ogni critica che le si muoveva. Così, per il quieto vivere, fui abituata/obbligata a mangiare piatti enormi, malsani e grassissimi sin dalla prima infanzia.
All’asilo e a scuola tutti mi prendevano in giro, non solo i compagni, ma anche l’autista del pulmino. Appena saliva, invece che salutarmi, mi domandava “Ciao Dolores, quanti piatti di pasta hai mangiato oggi in mensa, 5?”. Mi derideva davanti a tutti i bambini, e loro imparavano come si faceva per prendendomi poi in giro loro stessi. Le maestre facevano finta di nulla. Sono cresciuta nel terrore, smisi di parlare al di fuori di casa.
Il mio unico amico era il cibo: trangugiavo quantità industriali di cibo, mangiavo e piangevo, piangevo e mangiavo. Mi facevo schifo. Ero schiava di quel meccanismo.
Un giorno, a 18 anni, mi guardai allo specchio. Pesavo 112 kg per 1.70, portavo una taglia 56. Mi disgustavo. Mi nascondevo dietro enormi camicioni neri, pantaloni informi, felpe che sembravano dei sacchi col cappuccio. Ero invisibile, seppur ingombrante.
Iniziai una dieta, questa volta determinata a portarla avanti. Dimagrivo bene, ma non ero soddisfatta. Un giorno pensai che se avessi smesso di introdurre cibo nel mio corpo, avrei perso peso più velocemente. Iniziai con un periodo di digiuno, però poi, per insistenza di mia madre, ricominciai a mangiare quel poco per farla contenta. Dopo ogni singolo pasto, però, bevevo litri d’acqua, mi mettevo lo spazzolino in gola e vomitavo, mi sentivo bene.
Se ne accorsero alcune mie compagne, poi molti insegnanti, ma chi doveva accorgersene non se ne accorse mai.
Mi guardo ora allo specchio. Peso 42 kg, la taglia 38 mi sta larga, ho le costole e le clavicole bene in vista, come anche le ossa del bacino. Da sotto il mio piccolissimo seno, ora una 1 misura, mentre una volta era una 6 misura, si intravvede la mia gabbia toracica, anche dalla schiena. Ho iniziato a vestirmi nel reparto bambini da quando un paio di pantaloni taglia XS mi si sono sfilati senza che li slacciassi. Non piaccio alle persone, o a me stessa, più di quanto piacessi 70 kg fa, indosso sempre gli stessi vestiti informi, per paura che qualcuno mi guardi e noti quanto sono a disagio. La felpa nera e i pantaloni neri larghi sono la mia armatura come lo erano prima di dimagrire. Il mio colore preferito, però, è sempre stato il bianco, sogno di avere il coraggio di indossarlo un giorno.
Vi chiederete perchè vi ho annoiate con la storia della mia vita: il fatto è che vorrei che il mondo capisse che è importante amarsi, non andare allo sbaraglio, è importante guardare le persone della nostra vita, sia uomini che donne, e farli sentire speciali, perchè chi si sente speciale si ama, e chi si ama è felice. E chi è felice non si distrugge pian piano. Se solo mi fossi sentita amata, accettata, se solo qualcuno avesse avuto voglia di scoprire che dietro quel “Quanti piatti di pasta hai mangiato oggi in mensa?” c’era una persona, se solo io stessa mi fossi amata, ora la mia vita sarebbe senza dubbio più felice.