Oggi vi lascio uno scritto da voi un po’ particolare, Seleapi ha deciso di raccontarmi la storia della sua amica M. e anche se di moda non parla, parla sempre di corpo e di giudizio. Ho scelto le immagini di microfoni apposta, credo che andando avanti a leggere capirete il perchè.
Parlano perchè amano l’idea di avere un’opinione su qualsiasi argomento
M. è una ragazza come tante. Ha 18 anni, sta per finire la scuola, ha un mucchio di amici con cui esce, una famiglia da cui tornare.
Certo, a scuola non è che siano tutte rose e fiori, ma la sufficienza almeno per quest’anno l’ha strappata. Gli amici sono più compagni delle serate che persone con cui confidarsi a cuore aperto, ma almeno non è sola. In famiglia poi sono tanti, ognuno alle prese con la sua vita, ma di sicuro ha una casa, pasti e soldi a sufficienza.
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Una ragazza normale, dicevamo, solo che a un certo punto qualcosa si rompe: non ha più voglia di uscire di casa, agli amici che chiamano si fa negare, salta le ultime settimane di scuola, diventa scontrosa e intrattabile con i propri familiari.
Le settimane diventano mesi.
I mesi diventano anni.
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Ormai è chiaro: M. non sta “attraversando una fase”, quella “fase” si chiama Depressione. In tanti dicono di sentirsi “depressi” quando hanno qualche difficoltà e qualche calo d’umore, ma è una maniera di esprimersi che mette i brividi perché la depressione è una patologia seria come il diabete e corrosiva come il cancro e per di più subdola, visto che non ti lascia cicatrici che mostrino all’esterno il tuo malessere.
Ora, per favore, provate ad immaginarvela: M. è solo una ragazzina rinchiusa nella sua stanza, spaventata, disorientata e terrorizzata da quello che le sta succedendo.
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E la povera M. non deve fare i conti solo col suo disagio interiore, che è già tanto totalizzante da assorbire tutte le sue energie: no, deve anche subire tutte le voci esterne: i genitori, i medici, i parenti, gli “amici”, i vicini, i conoscenti e così via, un circo folle di persone che si sentono tutte autorizzate a dire la propria, ad esprimere pareri, ad indicare rimedi, indipendentemente dal fatto che questi siano richiesti o meno, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno la competenza per farlo.
Sapete quante se ne è dovuta sentire?
- La depressione non esiste, la tua è solo pigrizia;
- Il tuo non è poi questo gran problema, devi solo trovare la forza di reagire;
- Fatti una passeggiata, vedrai che all’aria aperta ti sentirai meglio;
- Fallo per tua mamma, non lo vedi come sta male?
- Tu ti lamenti, ma allora quelli che hanno una malattia mortale che dovrebbero fare?
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Cattiveria? No, quasi nessuno parla per cattiveria. Molti (i genitori, gli amici) lo fanno perché sinceramente preoccupati, ma questo purtroppo non fa sì che i loro commenti siano fondati o utili o almeno non dannosi. Alcuni (i vicini, i conoscenti) parlano perché amano l’idea di avere un’opinione su qualsiasi argomento, e amano il fatto di condividerla con chiunque.
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La storia di M. finisce qui: non è questa la sede in cui parlare dei suoi problemi.
Non sto dicendo che la depressione o i problemi di peso siano la stessa cosa, niente affatto. Esiste la depressione, esiste l’obesità, esiste l’AIDS ed esistono i paterecci: ognuno combatte col disagio che si ritrova, e ognuno fa quello che può, affrontandolo, ignorandolo, rimandando, nascondendo… e chiedendo aiuto, quando lo ritiene necessario.
readerscorner |
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E però: pareri, critiche, suggerimenti, rimedi… spesso li diamo a cuor leggero, magari ritenendo in buona fede di fare del bene, di aiutare qualcuno con la nostra esperienza o con il nostro modo di pensare, ma è proprio questa premessa che è sbagliata: il mio vissuto non può fare da modello per quello di qualcun altro, troppe differenze tra il mio e il suo finirebbero per sovrapporsi e rendere inutili i consigli che tanto amorevolmente sto cercando di dare.