Nell’ultimo periodo sono stata più dissociata del solito, alla mia vita di blogger e non, si era aggiunta una terza attività, la ricerca della casa, che mi aveva trasformato in un agente immobiliare sovversivo (di quelli che segnalano gli annunci quando sono ingannatori al limite della fraudolenza). Così mi ero dimenticata che questo, oltre ad essere un manuale per imparare a vestirsi e piacersi, è anche il mio blog, un posto in cui posso raccontarvi un po’ di me.
atelier della comunicazione |
Scoprire cose su me stessa mi piace tanto, come mi piace imparare a fare cose nuove, cose utili che mi aprono altre porte, come imparare a parlare in pubblico. A parlare meglio in pubblico, senza restare senza fiato, o che la voce mi diventi acuta.
atelier della comunicazione |
Così quando Marina Minetti mi ha detto che lei e Carla Viazzi avrebbero tenuto, proprio a pochi passi dal mio ufficio, un corso di Pulblic Speaking all’Atelier della Comunicazione nel bellissimo palazzo Stella presso Satura art galley, nonostante la stanchezza e l’impegno di quel periodo ci sono saltata dentro entusiasta.
Atelier della Cominucazione |
È un corso che consiglio davvero a tutte anche a chi non ha esigenze di parlare in pubblico, ma fatica a tranquillizzarsi quando deve fare un discorso importante anche solo a due.
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La prima cosa che mi ha colpito è che il corso è divertente, tanto divertente, a volte da ritrovarmi a ridere senza fiato, il che alle 9 di un giovedì sera è quello di cui uno ha bisogno per restare sveglio e attento. La seconda cosa, che appunto non consentiva a nessuno di appisolarsi, è che si impara facendo, e sbagliando, ad ogni argomento infatti, si faceva fare un esercizio prima ancora di dare le linee guida da seguire. Ovviamente vedere gli errori e capire quali sono quelli in cui cadiamo più facilmente aiuta a farli rimanere più impressi.
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Sono arrivata a lezione senza avere un idea fissa di quello che volevo cambiare del mio modo di parlare in pubblico, sapevo, anche perché me lo aveva già detto Carla, che all’inizio sono più rigida e poi mi sciolgo, e che la mia dislessia mi bloccava molto nel leggere in pubblico. Ho imparato poi anche che mi va, appunto, via la voce dopo un po’, e mi si secca la gola, e che ho un tono basso e rischio di essere monotona.
Ho imparato:
- come respirare di modo da non restare senza fiato quando parlo
- che per leggere ad alta voce non occorre essere veloce, tutt’altro, e quindi la mia dislessia non è affatto un limite
- a creare un incipit di un discorso che catturi l’attenzione
- che quando fai un discorso la gente capisce la metà circa di ciò che dici, e si ricorda anche meno, quindi è meglio dare meno concetti, ma chiarirli bene
- che il mio volume di voce deve variare a seconda di quanta gente ho davanti e del fatto che io voglia porre l’accento su un determinato argomento
- a gestire un’intervista a seconda che sia radiofonica, televisiva o di persona
- e che se mi metto i tacchi e poi mi fanno male i piedi la gente si distrae perché vede che sto soffrendo
Quest’ultimo punto mi ha fatto venire voglia di scrivere un post sul come ci si veste per parlare in pubblico. Potrebbe capitarvi a un congresso, all’assemblea di istituto, o addirittura in televisione.
Un’altra cosa stupenda del corso ho conosciuto donne capaci, con lavori estremamente interessanti e particolari, con cui era un piacere parlare e che speri di rivedere presto. L’unico uomo l’abbiamo spaventato presto forse perché l’abbiamo preso un po’ troppo in giro per il fatto che diceva ròsso, come bòtte (picchiare) invece che rósso come bótte (recipiente del vino), ma si sa che anche noi genovesi di solito sbagliamo tutte le e.
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