La nostra vita è frenetica, nulla di nuovo, se troviamo del tempo per noi sarà sempre di corsa e con metà cervello distratto che pensa alla lista della spesa. Ogni tanto però capita che una cosa arrivi a spezzare la corazza della nostra quotidianità e ci faccia pensare, davvero, ci faccia ricordare emozioni che abbiamo sepolto e ci faccia arrabbiare con noi stesse per esserci lasciate plagiare dal mondo, quando in realtà siamo noi che dobbiamo decidere chi siamo.
Pochi giorni su Soffice Lavanda ho visto il video di Lizzie Velasquez, How do you defines yourself. Due cose mi hanno colpito, un passaggio in cui Lizzie dice: “I had a really difficult life, but that’s ok” (io ho avuto una vita molto difficile, ma va bene così), e la seconda frase non è di Lizzie, ma di Takiko che racconta di quando a scuola era finita al penultimo posto nella classifica delle più carine della classe e che la cosa che ricorda è “il fatto che io me lo aspettassi e non ci rimasi nemmeno particolarmente male”. Oh come me la ricordo questa sensazione, e non solo in base all’aspetto fisico.
Non vi voglio parlare della sindrome di questa forte ragazza, ne del fatto che sia crudele o meno definirla brutta. Non vi voglio nemmeno parlare di bullismo, lo fa lei meglio di me. Guardate il video, è anche sottotitolato in italiano quindi non ci sono scuse. Vi voglio porre, come ha fatto Takiko, la stessa domanda che vi pone Lizzie: “Cosa vi definisce?” In italiano non ha la stessa forza ma il significato è questo. Lasciate che siano gli altri a definirvi e ci credete? Lasciate che sia una parte di voi a definire voi stesse? Non mi interessa quello che gli altri pensano di voi, ma quello che voi pensate di voi stesse. Tutta la classe potrebbe dire di voi che siete “quella grassa” “quella bassa” o “quella secchiona” o “quella con gli occhiali” ma ciò non vuol dire che lo dobbiate pensare anche voi, che sia quello che vi definisca.
Io ho lasciato a lungo che gli altri mi definissero, avevo un’amica al liceo che già a 16 anni si ribellava contro le etichette che le affibbiavano, era “quella con gli occhiali” e non lo sopportava, fremeva dal dimostrare di essere più di quello.
Io no, probabilmente ero già imbottita di etichette e di limiti, ero quella brava in matematica, quella poco sportiva, ero anche quella grassa (nella mia testa dato che non lo ero affatto), ero quella timida, ero quella che faceva errori di ortografia e non sapeva scrivere. Ma sapevo anche bene quello che non ero: non ero quella sexy con cui ci provavano i ragazzi, non ero nemmeno quella bella, non ero quella che voleva stare al centro dell’attenzione, non ero quella che diceva agli altri cosa fare, e non ero nemmeno quella brava a scuola. Era come se avessi una corolla di paletti intorno a me, parte da me piantati e altri messi da insegnanti, amici e parenti.
All’università iniziò a cadere il primo paletto, e scoprii che ero sì quella intelligente, ma poco importava, gli altri paletti restavano lì, saldi e nelle direzioni in cui avrei voluto andare, ma credevo di non poterlo fare. Continuai a vivere la mia vita con la maschera che mi ero imposta, ma le maschere dopo un po’ stanno strette e se gli altri cercano di fissarcele ancora di più poi, dalla rabbia, finisce che le facciamo saltare.
Io ho cominciato il 30 novembre 2006 a far saltare i mie paletti, a chiedermi cosa volevo essere e a cercare di diventarlo, o scoprire già di esserlo. Adesso se penso al fatto che fossero singole cose a definirmi mi viene quasi da ridere, io non sono quella persona, non lo sono mai stata e mi sono limitata da sola, ma ora cerco di non farlo più.
E vuoi, cosa definisce chi siete? Lasciate che siano gli altri?