Chi: Irene, 22 anni, laureanda in triennale di medicina,
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È iniziato tutto alle elementari, più precisamente in terza elementare, quando il mio corpo ha iniziato a svilupparsi più in fretta di quello delle mie compagne, tutte magrissime e bassine. Ho comiciato a sentirmi diversa, i compagni mi prendevano in giro dicendomi che ero grassa (riguardano vecchie foto mi rendo conto che non ero assolutamente grassa, ma bensì robusta e grande per la mia età) ed io reagivo isolandomi e chiudendomi in me stessa, sentivo che non andavo bene e che gli altri stavano meglio se io non c’ero…a volte i bambini possono essere pungenti e cattivi in maniera indelebile. Il modo distruttivo in cui mi vedevo condizionava tutto il resto: nella mia mente sentivo quelli che chiamavo “i cattivi pensieri”: si trattava per lo più di senso di colpa per come ero, mi sentivo sbagliata e la mia mente reagiva proiettandomi pensieri inquietanti che mi facevano piangere e stare male. L’immagine mentale di me stessa è rimasta bloccata a quella della “bambinona” goffa e isolata per anni, ancora oggi talvolta mi tormenta, inoltre mi sentivo “cattiva” per pensieri che avevo e che sicuramente le altre bambine non avevano. All’età di 8/9 anni ero la più alta della classe. All’età di 10/11 ero più alta delle maestre, avevo il ciclo e mia madre mi comprava i pantaloni da donna taglia 42. Non avevo amici e se non fosse stato per mia madre, che organizzò il mio undicesimo compleanno insieme ad un’altra bambina, nessun compagno di classe sarebbe venuto alla mia festa.
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Ricordo molto bene come mi sentivo a quell’età, in cui tutti i bambini dovrebbero essere felici e spensierati, mentre io cominciavo a fare “amicizia” con i complessi che avrebbero accompagnato tutta la mia vita: provavo vergogna per come ero ma al contempo una grande rabbia, un senso di rivalsa crescente dato dal voler dimostrare a tutti che si sbagliavano, anche se io per prima davo loro ragione.
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Il periodo delle elementari è stato orribile, nonostante fossi tra le più brave della classe, ancora oggi lo ricordo con tristezza, il passaggio alle medie invece fu più felice, nella mia classe non ero più il gigante della situazione e, sebbene fossi sempre tra le più alte, il non essere la “peggiore” mi era sufficiente. In quei tre anni legai con i compagni molto meglio di quanto non facessi prima, riuscivo a non pensare in maniera distruttiva a me stessa ma i sensi di colpa erano latenti e cominciavano a manifestarsi in maniera mimetica nel mio rapporto col cibo. Ad ogni modo, allora non me me rendevo conto. Stavo crescendo e il mio corpo diventava più aggraziato: arrivata a 13/14 anni la mia taglia 42 da donna non era più così fuori tempo e, unita all’apparecchio per i denti che tolsi e baffetti e sopracciglia che iniziai a farmi fare, il mio aspetto cambiò in meglio, sembravo più grande e i ragazzi iniziavano a guardarmi (sebbene allora mi importasse poco!).
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E da li, inizia il mio vero incubo privato: a 15 anni non ancora compiuti iniziai a mangiare sempre meno, a fare sempre più sport e a contare ogni singola caloria che ingerivo. Persi peso, passando da 56 a 53, poi da 53 a 51 e dopo qualche mese, ne pesavo 46 scarsi, per un’altezza che allora era di 167 cm.
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Mi lasciai con L. dopo quasi un anno, perché la mia fissa per la dieta aveva cambiato il nostro rapporto, per fidanzarmi con le mie ossessioni per lungo tempo: da quel momento in poi per me finì ogni gioia perché tutta la mia intera esistenza era finalizzata a contare le calorie per rimanere magra. Le persone notavano che ero più secca, mi facevano osservazioni e il mio ego era alle stelle in quanto, per come la vedevo allora, essere magrissima equivaleva ad essere come le altre ragazze, che io tanto ammiravo ed invidiavo.
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In quel periodo si sviluppò ampiamente il complesso che tanto mi ha fatto e ancora mi fa penare: le gambe. Me le misuravo ogni giorno e appena vedevo aumentarle di un cm, non mangiavo, vomitavo (di rado) o andavo a correre per ore.
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Vedevo gli altri ragazzi della mia età che vivevano spensierati cosa che per me era impensabile, senza contare che , tutta presa come ero dalle mie operazioni quotidiane, non avevo più carattere ne personalità: mi piaceva ciò che piaceva alle mie amiche, mi vestivo come loro si vestivano e così via. Adesso, guardando indietro, capisco che in realtà la sensazione che avevo di non avere una via d’uscita era data da una profonda carenza di autostima, a causa della quale mi ero fissata con la “perfezione” del corpo, che mi deprimeva e mi annullava del tutto.
Comunque quell’anno qualcosa nella mia testa cambiò, dopo essere arrivata più volte a pensare che qualunque vita era meglio di quella, che la mia non era vita ma sopravvivenza, iniziai a pensare che dovevo rischiare, dovevo provare a cambiare. In quel periodo, cercai di disintossicarmi dalle ossessioni e gabbie alimentari, ingrassai qualche chilo e provai ad accettarmi.
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Non è stato così semplice perché, in effetti, anche con C. ho avuto delle brutte ricadute che per poco non hanno rovinato il nostro rapporto, tuttavia sono riuscita col suo appoggio a riemergere dal mio incubo e ne sono uscita del tutto solo la scorsa estate, quando dopo l’ultima trovata per dimagrire (la famigerata dieta Dukan), ho toccato il fondo: per la prima volta sentirmi dire che ero troppo magra non mi dava alcuna soddisfazione, anzi mi dava fastidio, avevo nostalgia dei miei sani chili “in più” e ho detto basta definitivamente alle diete e alle ossessioni.
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Si, dopo anni di sofferenze la scorsa estate ho dato una svolta decisiva alla mia vita, e questa svolta è stata resa possibile sia da lunghe riflessioni su me stessa, sia dai numerosi tentativi anche sofferti di lasciarmi andare, sia dalla prima esperienza di lavoro vero: oltre a dire basta alle diete e ai calcoli delle calorie (cosa che mi ha fatto prendere peso, 55 chili che per voi sicuramente sono pochi per me prima erano una vera esagerazione) ho fatto un paio di follie che però mi hanno aiutata a capire che sono io la padrona di me stessa e NON le mie ossessioni e i miei standard assurdi. Mi sono tatuata un disegno simbolico per tenere sempre a mente che devo lavorare su me stessa, conoscermi a fondo e scoprire chi sono davvero; mi sono fatta asportare chirurgicamente gli accumuli di grasso sulle ginocchia e all’inguine che avevo a causa dei continui saliscendi col peso (lo so, molte di voi mi giudicheranno per questo ma il motivo per cui mi sono operata è più psicologico che fisico). Chiariamo: la chirurgia o i tatuaggi non sono la soluzione per piacersi di più, se l’ho fatto è solo perché volevo un cambiamento drastico e radicale, indelebile, che mi distanziasse da come ero prima, e a questo scopo hanno funzionato alla perfezione.
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Ad oggi, sono una persona totalmente nuova, diversa, che sta cominciando adesso a scoprire le proprie qualità e a godersi la vita, una brava ragazza con i suoi difetti e le sue debolezze, che lavora, fa tirocinio, scrive la tesi, fa un po’ di sport (ma non troppo! Solo x il piacere di farlo) e vive la sua vita un giorno dopo l’altro . Nonostante tutto, ho sempre un po’ di ansia nei confronti della linea e del fisico, tuttavia me la cavo “parlando” con me stessa e cercando di accettarmi per come sono adesso. Non importa quanto gli altri ci dicano che siamo belle, brutte, magre, grasse, buone, simpatiche, antipatiche, l’importante è voler bene a noi stesse per prime perché senza questo pilastro fondamentale è impossibile qualsiasi altra cosa.
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Lo stress mentale che tutto questo mi ha portato è enorme, se non avessi passato 7 anni a autodistruggere i neuroni del mio cervello probabilmente adesso sarei una persona totalmente diversa. Sarei entrata a medicina, avrei delle amicizie consolidate e più sicurezza in me stessa, ma alla fine tutto accade per un motivo e sono certa che un giorno, guardando indietro, riuscirò a vedere dei lati positivi di tutta questa storia. Alla fine, a 22 anni, è ancora tutto da scrivere…e se non altro il mio passato mi ha aiutata a dar valore alla vita, perché so cosa significa desiderare di non averne una.
Adesso, guardo avanti e cerco di godermi le cose belle della vita e di ripartire da me.